L’incidente stradale avviene sempre all’interno di uno scenario (luogo e ambiente) ed implica il coinvolgimento di almeno due elementi chiave:
- il conducente, elemento umano;
- il veicolo, elemento meccanico.
Ne consegue che l’analisi e la ricostruzione del sinistro stradale può dirsi tale solo se avviene all’interno di quello scenario considerando e rappresentando contemporaneamente nel movimento spaziale e temporale tanto la parte comportamentale (uomo-conducente) quanto quella cinematica (veicolo).
Fin dai tempi di Newton (1643-1727) la scienza si è occupata dello studio dei fenomeni fisico-cinematici relativi al movimento dei corpi nel tempo e nello spazio, fenomeni oggi riferibili anche al movimento veicolare. L’aspetto comportamentale dell’uomo-conducente, di pertinenza della medicina e della psicologia, è così rimasto materia più o meno estranea al normale sapere dei tecnici specialisti in incidentologia stradale.
La Psicologia del traffico, materia sviluppatasi solo più di recente, si occupa fra altro delle attitudini comportamentali dell’uomo-conducente. Fra queste, quelle che attengono all’attentività, alla percezione del pericolo ed alla conseguente reazione psico decisionale sono sicuramente parte integrante anche dell’incidentologia stradale riferendosi alla fase che precede l’urto, quindi alla cinematica ante impatto: trattasi quindi del settore più delicato in quanto è qui che l’analisi viene chiamata a chiarire i fatti utili ai fini del Giudizio. Infatti, come insegno ai corsi di perfezionamento in Psicologia del Traffico dell’Università Cattolica di Milano,
Ogni incidente si genera nell’ultimo istante in cui poteva ancora essere evitato.
Oggi, integrare il sapere della Psicologia del traffico con quello della Tecnica di analisi e ricostruzione degli incidenti diviene pertanto imperativo.
Integrare il processo attentivo, quello percettivo e quello psico decisionale del conducente all’interno dell’analisi cinematica del sinistro richiede anzitutto chiarezza nella suddivisione concettuale delle sue rispettive componenti e la conoscenza dei relativi tempi di ciascuna di queste, ovvero la conoscenza approfondita dei dati temporali che caratterizzano ogni sua fase: queste tempistiche sono quindi dati risultanti unicamente dalla ricerca.
Ciò premesso, la confusione è già tanta solo per quanto attiene all’aspetto concettuale del processo; sui dati di ricerca dirò in seguito.
Paolino Ferrari (1980) parla di “Intervallo psicotecnico completo o integrale” che a suo dire corrisponde in pratica allo spazio d’arresto del mobile e si calcola in base al tempo di percezione e di reazione, aggiungendovi tutto lo spazio richiesto alla frenatura.
Parla anche di un “intervallo psicotecnico ordinario” ovvero “giuridico”. La sua durata (estensione nel tempo) risulta notevolmente minore di quello integrale, perché esclude il tempo richiesto dall’esecuzione completa della manovra di arresto.
Di fatto e per quanto sopra, per il Ferrari l’intervallo psicotecnico comprenderebbe sempre tanto la fase di percezione quanto quella di reazione.
Gino Nisini (1981) scrive che “lo spazio psicotecnico è quello percorso durante il tempo che passa tra la prima percezione di un pericolo e l’inizio materiale della frenata”.
Di fatto, il Nisini concorderebbe con il Ferrari, ovvero anche per lui il tempo psicotecnico comprenderebbe tanto la percezione quanto la reazione.
Dario Vangi (2008) “… alla manovra di frenata d’emergenza si accompagna sempre un tempo preliminare, indicato generalmente come tempo di reazione. Tale tempo è il tempo necessario al guidatore per la percezione del pericolo, per prendere una decisione sul da farsi e per agire; il tempo cosiddetto di reazione, quindi, comprende le fasi di percezione, decisione e reazione.
Anche per questo autore, il tempo psicotecnico comprenderebbe quindi tanto la percezione quanto la reazione.
Per l’incidentologia italiana, evidentemente l’approfondimento su questo tema (percezione e reazione) sembra essere mancato non solo nel passato ma anche nel presente più recente. Infatti, per quanto a mia conoscenza, risale invece al 1981 la prima vera definizione concettuale del processo attentivo reattivo: questo si innesta con l’insorgere di un pericolo e termina con l’inizio dell’effetto frenante al suolo. Faccio riferimento al testo Burg/Rau di quell’anno.
Il concetto è chiarissimo: la percezione (Wahrnehmungszeit) - indispensabile a quanto ne consegue (reazione e frenata) - per Burg inizia e finisce prima della reazione (Reaktiondauer) ovvero inizia nell’istante in cui il pericolo si è palesato (Gefahr wird sichtbar) e finisce quando lo stesso è stato riconosciuto (Gefahr wird erkannt).
Quanto scriveva il Dr. Ing. Burg non era solo corretto, era anche logico. Infatti, la percezione in nottetempo, oppure in caso di nebbia, oppure ancora in caso di pioggia con tergi funzionanti non richiede sicuramente mai lo stesso tempo della percezione del pericolo in caso di visuale ottimale: i tempi di percezione non sono assolutamente quelli della reazione e non vanno quindi mai confusi fra loro.
Ricostruttivamente, non è possibile fare astrazione da questo principio che nella mia didattica in Cattolica a Milano, formulo sempre con la frase seguente
Senza percezione, nessuna reazione.
Le definizioni di Ferrari, Nisini, Vangi e di tutti coloro che come loro non scindono la percezione dalla reazione, in incidentologia sono da considerare improprie in quanto concettualmente inesatte e per nulla basate su ricerca scientifica riconosciuta: tali definizioni sono ricostruttivamente inapplicabili. La percezione è una cosa, o meglio detto è una fase cinematica mentre la reazione è ben altro costituendo a sua volta un’altra fase della cinematica, quest'ultima solo conseguente alla prima.
Parlando di ricerca di settore a livello universitario, segnalo lo studio sull'IPTR (Intervallo Psico Tecnico di Reazione) che ho condotto in collaborazione con l’Unità di ricerca in psicologia del traffico dell’Università Cattolica del S.C. di Milano (2011 e anni seguenti) studio documentato dal filmato MB-IPTR-2011 nei Media di questo sito e ricerca unica nel suo genere. Se ne trova notizia anche in “Strade sicure” (Cantone Ticino).
La confusione circa il processo attentivo, percettivo, psico decisionale e psico motorio dei conducenti, è generale anche nella giurisprudenza: quest’ultima, senza sapere cosa tale processo implichi di fatto, fino ad oggi ha sentenziato tempistiche senza preoccuparsi di sapere esattamente a quale o a quali fasi cinematiche esse andassero esattamente riferite.
Solo facendo anzitutto chiarezza concettuale sul processo comportamentale del conducente, mi sarà possibile nel seguito spiegare come la Psicologia del traffico possa essere oggi integrata nella cinematica di ricostruzione degli incidenti stradali.
Nasce così quella che io ho deciso di chiamare
PSYCHOCINEMATICA
Oso augurarmi che, d’ora in poi, questa nuova visione dell’incidentologia stradale possa entrare nel gergo peritale comune producendo, a tutto vantaggio di chi preposto al Giudizio, aggiornati e competenti elaborati di psychocinematica .
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