DAL REGOLO CALCOLATORE AL SOFTWARE SCIENTIFICO
- Ing. Mauro Balestra
- 2 giorni fa
- Tempo di lettura: 3 min
L’articolo 221 del Codice di Procedura Penale italiano stabilisce che il perito debba essere scelto “tra persone fornite di particolare competenza nella specifica disciplina”.
È una formula apparentemente semplice, ma che solleva una domanda cruciale: che cosa significa oggi competenza nella specifica disciplina dell’analisi e della ricostruzione di un incidente stradale?
Per decenni, l’incidentologia stradale si è basata su metodi manuali: schemi disegnati a mano, calcoli su carta millimetrata, applicazioni semplificate delle leggi di Newton. Con righe, squadre e compassi si ricostruivano traiettorie e punti d’urto, con il regolo prima e con la calcolatrice poi si definivano le velocità.

Una scuola che ha avuto un enorme valore pionieristico e che ha formato generazioni di tecnici, ma che ora ci obbliga riflettere: questo può bastare oggi, davanti a sinistri sempre più complessi, mezzi tecnologicamente sofisticati e dinamiche che si sviluppano in frazioni di secondo?
La risposta è evidente: NO!
Dalla tavola da disegno siamo passati al software scientifico.
A partire dagli anni ’90, i primi programmi di calcolo hanno affiancato le ricostruzioni manuali. Software come Crash3 negli Stati Uniti o i primi applicativi europei hanno introdotto il concetto di simulazione numerica. Negli anni successivi, grazie alla potenza di calcolo crescente, si è passati a strumenti molto più raffinati: modelli multicorpo, metodi detti degli elementi finiti, fotogrammetria digitale, scansioni laser, ricostruzioni 3D in realtà virtuale.
Oggi il perito ha a disposizione software scientifici che non si limitano a “disegnare” un incidente, ma ricostruiscono passo dopo passo l’interazione dinamica fra veicoli, superfici e persone. Questi strumenti si basano su algoritmi complessi, derivati direttamente dalle leggi della fisica e validati da decenni di crash-test sperimentali.
Non basta saper cliccare: servono conoscenza e metodo.
C’è un punto fondamentale: usare un software non significa automaticamente fare scienza. Un perito che non conosce i principi fisici e gli algoritmi che il programma utilizza rischia di trasformarsi in un “operatore di tastiera” incapace di verificare la correttezza dei risultati.
La vera competenza oggi è duplice:
conoscenza concettuale dei metodi di calcolo (Newton, leggi di conservazione, algoritmi multicorpo, elementi finiti, ecc.);
capacità critica di validare e interpretare i dati, distinguendo ciò che è affidabile da ciò che è solo un output automatico.
Chi resta fermo ai calcoli manuali ignora strumenti ormai indispensabili. Chi si limita a “premere tasti” senza comprendere gli algoritmi non ha la padronanza necessaria, ovvero non possiede la particolare competenza nella specifica disciplina, come richiesto dal Legislatore. Il perito/consulente moderno deve essere entrambe le cose: scienziato e critico, tecnico e interprete.
Competenza forense e affidabilità scientifica.
La giurisprudenza ha più volte sottolineato che il valore della prova tecnico-scientifica dipende dall’affidabilità del metodo, oltre che dall’affidabilità dell’Esperto forense. La celebre sentenza Franzese delle Sezioni Unite (2005) ha posto le basi: la scienza entra nel processo solo se è epistemologicamente affidabile, cioè fondata su metodi riconosciuti, verificabili e scientificamente provati.
Applicando questo principio, la perizia/consulenza basata su calcoli manuali di quarant’anni fa non ha più la stessa forza probatoria: è facilmente contestabile, non perché sia “sbagliata”, ma perché non utilizza strumenti allineati allo stato dell’arte. Allo stesso modo, una simulazione fatta con software non validati o senza consapevolezza critica rischia di essere persuasiva solo in apparenza.
La “particolare competenza” richiesta dal Legislatore oggi significa solo questo:
padronanza dei metodi aggiornati e capacità di applicarli con rigore scientifico.
Penale e civile: due contesti, un’unica esigenza.
In ambito penale, la posta in gioco è la libertà personale. Nessun giudice può permettersi di decidere su responsabilità gravissime basandosi su una ricostruzione che non sia scientificamente affidabile. La prova deve reggere al contraddittorio e resistere alle obiezioni di altri Esperti.
In ambito civile, le conseguenze sono economiche, spesso molto rilevanti: stabilire la dinamica e le responsabilità di un sinistro significa incidere sulla vita di famiglie, imprese e compagnie assicurative. Anche qui, l’affidabilità del metodo è imprescindibile.
La verità è che, sebbene i contesti giuridici siano diversi, l’esigenza è la stessa: ricostruire l’incidente con strumenti aggiornati, validati, scientificamente riconosciuti.
Il codice parla chiaro.
L’esperto deve avere “particolare competenza nella specifica disciplina”.
La competenza non è un titolo statico, è una realtà che si evolve con la scienza.
Chi si limita ancora ai calcoli manuali, senza confrontarsi con i moderni software scientifici,
non è più adeguato a rispondere alle esigenze della Giustizia.
Chi utilizza i programmi senza comprenderne a fondo i principi fisici e gli algoritmi,
non ha la credibilità necessaria per operare in un’aula di Tribunale.
Il perito/consulente del XXI secolo deve essere qualcosa di più:
conoscitore della scienza,
interprete dei dati,
comunicatore verso il diritto.
Solo così l’elaborato peritale forense può diventare davvero il
ponte tra la Tecnica e la Giustizia.
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