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Giustizia, Dea bendata

Aggiornamento: 28 giu 2021

Spesso si raffigura la Giustizia come dea bendata, forse nell'illusione che questa benda raffiguri la virtù dell’equità che sta alla base del diritto, forse nell'illusione del significato della frase più ricorrente stampata sulle pareti dei tribunali “La giustizia è uguale per tutti” o forse ancora nell'illusione utopica dei più che pensano che sia veramente così.

Un bel giorno ha attratto la mia attenzione questa immagine, non senza crearmi una miriade di perplessità e qualche riflessione. Che la Giustizia non debba guardare in faccia a nessuno nel senso che il suo giudizio debba unicamente dipendere dal diritto e dai fatti oggettivamente accertati mi sta bene, anzi benissimo, ma che per questo Essa debba essere cieca mi preoccupa e non poco. Quante volte avrei apprezzato una Giustizia capace di guardare negli occhi l’imputato, in ogni istante del processo e, ancor di più, prima durante e dopo la lettura della sentenza, invece di lasciare frettolosamente l’aula e a testa bassa per non incontrare neppure gli sguardi del Popolo in nome del quale quella Giustizia andava amministrata. È impossibile che una Giustizia cieca veda la bilancia che tiene in mano e allo stesso tempo possa brandire la spada del giudizio colpendo nel giusto segno. In questo caso, forse sarebbe più saggio rivolgersi direttamente all'altra dea bendata, la dea Fortuna e sostituire così bilancia e spada con i suoi dadi. Mi sembra che bendarsi gli occhi in nome dell’imparzialità spesso sia alquanto ipocrita e sia un atteggiamento molto vicino a quello attribuito popolarmente allo struzzo, ossia al mettere la testa sotto la sabbia. Esemplifico restando nel mio settore, quello dell’infortunistica del traffico vissuta quale esperto forense internazionale. Sottolineo l’internazionale in quanto operando in realtà giudiziarie diverse, ho la fortuna del confronto. Questo mi ha fatto capire come tutto il Mondo sia Paese e che neppure la tanto invidiata Svizzera sia sempre così immacolata.

Quante volte avrei apprezzato che il Giudice non facesse lo struzzo. A mio parere il giudice che, nello specifico dell’infortunistica considera una testimonianza giurata rilasciata ad anni di distanza dai fatti, in dibattimento, più provante delle dichiarazioni rilasciate dalla stessa persona nell'immediatezza dei fatti, fa lo struzzo.

Infatti, è risaputo che ogni teste o protagonista, e questo in perfetta buona fede, nel tempo elabora fatti e ricordi fino a costruirsi una sua nuova verità che, anche se giurata, sarà comunque sempre costruita ed alterata. Nell'immediatezza dell’accaduto, con o senza giuramento, il racconto non è ancora contaminato da questa elaborazione stravolgente i fatti ed il ricordo di quanto appena vissuto, fors'anche confusionale per lo stato di choc, è comunque spontaneo e sincero. Preferirgli la verbalizzazione postuma unicamente in virtù di un giuramento, forse è ben più che mettere la testa sotto la sabbia. C’è anche chi è andato oltre. Mi riferisco a quei Colleghi benpensanti che hanno inventato nientemeno che il Restauro della testimonianza. Quello che ammiro in loro, se è vero quanto raccontano, è che siano anche riusciti a farlo bere a certi loro Giudici; se poi quest’ultimi fossero solo creduloni oppure compari, non mi è dato di sapere. Un altro tipico atteggiamento da giudice-struzzo è rifiutare di ascoltare il parere specialistico dei consulenti, periti o esperti che dir si vogliano. È difficile capirne il perché: forse è solo per non voler equamente valutare quel parere oppure per non doversi poi giustificare volendosi discostare da quanto peritalmente accertato. Questo mi è capitato in più casi dove, avendo studiato veramente a fondo la fattispecie, ancora oggi ad anni di distanza sono convinto che la verità di quel Giudice fu e rimane ben distante dalla verità dei fatti. Uguale se non peggior risultato, lo ottengono quei Giudici che pensano che solo il loro perito o consulente, o eventualmente quello del PM, siano competenti. Questi Giudici, quasi mai sono in grado di capire e valutare le valenze peritali di ciascuno e, quando non hanno più argomenti validi da opporre al sano sapere peritale non esitano ad usare la scappatoia della testimonianza giurata, facendola assurgere a verità dogmatica. Credo che Iudex peritus peritorum significhi ben altro e che le motivazioni richieste per discostarsi dall'accertamento peritale serio debbano essere altrettanto serie. Ciò malgrado, non c’è solo la Giustizia cieca perché bendata o perché amministrata da giudici-struzzo ma ne esiste fortunatamente anche un'altra, di tutto rispetto. Uno degli ultimi casi che ho appena vissuto lo dimostra. Una mia consulenza di difesa, presentata al Giudice penale pochi giorni prima del dibattito, ha fatto sì che questo rifiutasse la mia audizione in aula giustificandolo con il fatto che non lo riteneva necessario ai fini del giudizio. Mi sembrò un affronto, ma non era così.

Capii solo in seguito cosa intendesse nel dire che non era necessaria la mia audizione, nel leggere le motivazioni della sua sentenza pervenutemi tramite il Difensore. Quel Giudice non mise la testa sotto la sabbia, anzi, lesse con attenzione il mio esposto tecnico di parte e lo comprese in ogni suo particolare tant'è che poi lo fece suo nelle motivazioni, andando addirittura oltre al mio stesso ragionamento in favore dell’imputato. Davanti a questi Giudici dobbiamo inchinarci. Per loro, l’appellativo di “onorevole” che in Svizzera è ancora pronunciabile, acquista e mantiene tutto il suo significato etimologico. Dico questo ricordando quando in tribunale a Ravenna, una volta mi scappò di rivolgermi a una Giudice chiamandola rispettosamente “onorevole” ... vi posso garantire che non gradì affatto e mi apostrofò con veemenza: evidentemente, quella Giudice non si sentiva meritevole di onore. Bontà sua.


Oggi la storia continua: non c’è miglior cieco di chi non vuol vedere, non c’è miglior sordo di chi non vuol sentire, non c’è giustizia senza ricerca della verità materiale, quella basata sui reperti probatori oggettivi.


N.d.R.

Questo articolo è ripreso pari pari dal mio volume "La tecnica al servizio della Giustizia".

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