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Ing. Mauro Balestra

La qualità peritale

Aggiornamento: 21 giu 2021

La partecipazione a un processo penale è quasi sempre libera e si svolge infatti a porte aperte, ossia con la libera partecipazione del pubblico. Ne consegue che quanto in esso contenuto è di pubblico dominio: ciò malgrado, neppure a sentenza cresciuta in giudicato periti e consulenti amano o credono utile confrontarsi e mettere in discussione i propri elaborati a scopo didattico personale: solo da una simile analisi critica e dal confronto del proprio operato con quello dei Colleghi nasce il progresso personale di ciascuno. La pressoché totale incapacità a mettersi in discussione, a mio modo di vedere, è la causa principale della scarsa, a volte scarsissima qualità di molti elaborati peritali, siano essi d’ufficio che di parte. Quale è la qualità della Giustizia che si avvale di pareri tecnico scientifici scadenti? Se la Giustizia è cognita di tale scadenza e l’accetta, è altrettanto scadente; se invece nella sua qualità di peritus peritorum semplicemente non è in grado di percepire tanta pochezza peritale, è altrettanto inadeguata.


Al di là dell’enunciazione di principio di un generico elenco di contenuti, raramente rispettato, la cultura dell’elaborato peritale non sembra esistere e il totale disinteresse su questo tema dimostratomi da diversi saccenti esperti me lo ha confermato in modo esplicito. Per la propria crescita professionale qualitativa, troppi periti-consulenti invece di investire sul confronto critico del proprio prodotto peritale cercano di blasonare il proprio sapere rincorrendo di tutto eccetto che la qualità. Ho visto di tutto: dall’acquistare il titolo di perito industriale alla falsificazione di quello di ingegnere, ho visto indicare come propria specialità la semplice iscrizione a un’associazione che non ha mai potuto conferire titolo professionale a chicchessia e, non da ultimo, non posso che sorridere quando entrando in uno studio lo vedo tappezzato di attestati di frequenza a seminari nei quali il titolare, oltre alla propria inattiva presenza agli stessi, ben poco altro ha da vantare.

Chi invece può vantare titoli veri, dovrebbe ricordare che questi sono come le piantine: se non vengono annaffiati di continuo con nuovo sapere specialistico, presto appassiranno e saranno da buttare o, se appesi al muro, non avranno molto più valore dei sopra citati attestati di frequenza.

Per questo, i nostri Mandanti dovrebbero valutarci unicamente in base alla qualità tecnico scientifica della nostra consulenza e dei nostri elaborati peritali: fatti, non parole. È questa qualità, a mio parere, l’unica nostra effettiva credenziale.


Oggi, nei Tribunali, troviamo agli atti dei casi di infortunistica stradale ancora troppi elaborati peritali indegni del nome di perizia o di consulenza tecnica, pietosi nella presentazione e nei contenuti. Eppure, è facile coglierne la loro pochezza.

Per esempio, quando la consulenza tecnica che consta di ben 59 pagine commissionata da un Pubblico ministero si compone di 8 pagine (13,5%) fra titoli e premesse, di 44 pagine (74,5%) di sole copie di documenti già agli atti quali le testimonianze, l’esame medico legale, il fascicolo fotografico di PG, lo schizzo di polizia, ecc. e finalmente nelle ultime sole 7 pagine (12%) si accenna a “velocità, norme, dinamica e conclusioni”, dovrebbe essere lampante l’entità della scarsezza di simile analisi specialistica.

Un altro elemento tipico dei citati pietosi elaborati è l’uso sconsiderato della tecnica del “copia e incolla”, capace di giungere veramente al massimo dell’assurdo: penso a quella perizia eseguita per il GIP in un incidente frontale fra due autovetture, dove a forza di copiare e incollare si è giunti a disquisire anche sui motocicli che, nello specifico, c’entravano come i cavoli a merenda non essendocene alcuno coinvolto.

Emblematica e per nulla trascurabile è poi stata la giustificazione verbalizzata davanti a quel GIP: “Questa è una parte introduttiva che io metto in ogni mia relazione … ho dimenticato di togliere la foto del motociclo … se vuole le mando 300 delle mie relazioni e lei trova 300 righe uguali!”

No comment.


Mi confronto giornalmente con casi del genere, uno degli ultimi è quello del Collega che è riuscito a trasformare in unica curva ad ampio raggio un rettifilo di almeno 30 metri di lunghezza presente fra due semi curve e rilevato con scansione laser dalla Polizia, quantificandone addirittura il valore del suo presunto raggio.

Si potrebbe scrivere un libro dal titolo “Le chicche forensi dell’ultimo ventennio”: credo che non ne valga la pena in quanto sarebbe l’ennesima guerra contro i mulini a vento, guerra analoga a quella di Don Chisciotte della Mancia nel racconto di Miguel De Cervantes.

Infatti, quanto sopra descritto in Tribunale si ripete abbastanza spesso e … non succede mai nulla. Tacciono i Magistrati inquirenti e i Magistrati giudicanti che, impassibili, continuano ad avvalersi solo degli esperti di loro fiducia, ovvero quelli che si meritano, tace l’Avvocatura che in questo bailamme può avvalersi lei pure di pseudo esperti a proprio uso e consumo e, dulcis in fundo, tacciono persino i Colleghi - e non sono pochi - che amano seguire il noto principio della collegialità fra compari: oggi io sostengo te, domani sarai tu a sostenere me.


La ricerca oggettiva della verità materiale dei fatti è altra cosa, coniugabile solo con la qualità peritale. Sono convinto che ci sia ancora chi in essa crede e opera. Per costoro e con essi vale ancora la pena ed è doveroso continuare ad operare.


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